Quando parliamo di « rezdora » pensiamo subito alla casa di famiglia, alla nonna e alla mamma, alla pasta fresca tirata a mano, alla stufa economica sempre accesa, ai grembiuli comprati al mercato, alla merenda con l’uovo sbattuto o il pane col burro e lo zucchero: ricordi indelebili dell’infanzia di tanti parmigiani ed emiliani.
Non solo a Parma ma in tutta l’Emilia la rezdora (o « resdora », « arzdoura » o « arzdaura ») è una figura che ha avuto un ruolo importantissimo nella storia dell’economia rurale: tutti questi termini derivano dal latino « regere », ovvero dirigere.
Alla rezdora infatti spettava la gestione della casa e della prole, della dispensa, degli orti e dell’aia: una gestione famigliare molto diversa rispetto a quella odierna ma complicata quanto quella delle madri moderne, divise tra il lavoro e la famiglia. Non soltanto una donna di casa o una brava cuoca quindi, ma un vero pilastro dell’economia famigliare, saggia e instancabile.
La cucina casalinga delle rezdore di un tempo è quella che ancora si prepara a Parma alla domenica, quella che si tramanda solo in famiglia (guai a rivelarne i segreti!), quella che anima ancora le discussioni a tema culinario: « mia nonna lo faceva più buono », « mia mamma ci metteva… ».
Una cucina fatta di tempi lunghi, di piatti cotti ore sopra alla stufa o nel forno a legna, una cucina stagionale, inevitabilmente legata a ciò che la terra e la stalla offrivano. Una cucina assennata, perché il cibo è prezioso e non bisogna mai buttare nulla. Una cucina che oggi rincorriamo e sogniamo perché nelle mani infarinate delle nostre rezdore ci sono le nostre radici, nella sfoglia ruvida il ricordo delle nonne e delle mamme, nel pane e burro il sapore della nostra infanzia.